Quando si pensa agli smart assistant si pensa principalmente agli assistenti vocali che sono stati lanciati negli ultimi anni da Apple, Amazon, Microsoft e Google; dobbiamo però ricordare che in questa categoria rientrano anche tutti quelle tecnologie integrate nei dispositivi elettronici di comune uso (es. Siri, Bixby ecc.).
Questi strumenti sono stati studiati e creati al fine di rendere migliore la vita di ognuno: offrono infatti vantaggi che vanno dalla semplice comodità al miglioramento della qualità della vita per coloro i quali, ad esempio, sono non vedenti (offrendo, a prezzi contenuti, un facile accesso a servizi diversamente di più difficile fruizione a coloro i quali hanno necessità particolari).
Il loro funzionamento risulta chiaro e preciso anche a chi non è avvezzo alle moderne tecnologie: si attivano attraverso un comando vocale specifico e, tramite una connessione internet, riescono a rispondere ai quesiti che gli vengono posti; tale modalità di funzionamento prevede, al fine di captare la parola di attivazione, un ascolto passivo costante di ciò che avviene attorno al dispositivo.
Ciò può essere visto come un problema vista la quantità di informazioni fornite alle società produttrici, tra le quali:
– gusti musicali;
– convinzioni religiose;
– locali preferiti;
– strade percorse.
L’utilizzo dei dati raccolti al quale le aziende mirano maggiormente è la fornitura di banner pubblicitari personalizzati in base all’interesse dell’utente, aspetto non esclusivamente negativo: se i banner pubblicitari ci sono comunque non risulta per forza sgradito che essi siano rivolti a degli interessi reali.
Si specifica inoltre la possibilità della disattivazione del dispositivo e delle modifiche sulle preferenze privacy al fine di limitare l’utilizzo che le aziende possono effettuare sui dati forniti attraverso lo stesso.
Un’opinione su questi dispositivi l’ha data anche il Garante per la protezione dei dati personali dott. Antonello Soro, qui di seguito riportata:
Innovazioni come quelle dello smart assistant determinano indubbi vantaggi nella vita quotidiana di ciascuno e vanno quindi, come tali, promosse.
Tuttavia, proprio il flusso di dati che tali tecniche permettono, integrando tecnologie diverse, esigono garanzie adeguate tanto per gli utenti, quanto per la sicurezza dei dati e delle reti coinvolti in questi processi.
Il Regolamento generale sulla protezione dati offre soluzioni importanti su entrambi i fronti, in un’impostazione tecnologicamente neutra che non cristallizza la norma sulla singola misura tecnica (suscettibile come tale di obsolescenza), ma fornisce la cornice giuridica in cui inscrivere l’innovazione, nel suo rapido evolversi.
Tra le garanzie sancite dal Regolamento, le più rilevanti in questo contesto sono anzitutto l’incorporazione delle misure di protezione dati negli stessi sistemi e dispositivi, in modo che essi siano progettati e configurati in maniera da minimizzare l’uso di dati personali e proteggerli adeguatamente.
Queste misure compensano quel deficit di consapevolezza che abbiamo nell’utilizzare dispositivi intelligenti di uso quotidiano, la cui apparente innocuità ci induce a sottovalutarne la potenziale esposizione ad attacchi informatici o comunque la capacità di rivelare, tramite i dati raccolti, stili e tenore di vita, persino patologie o dipendenze.
Inoltre, rispetto alla profilazione e al microtargeting che questi dispositivi possono incentivare, risultano determinanti il diritto di opposizione e quello di contestare la decisione automatizzata, nonché di ottenere l’intervento umano nel processo decisionale.